Trigon
Neue Galerie, Graz
a cura di Amnon Barzel
testo dal catalogo della mostra di Giorgio Verzotti
Non so fino a quando si parlerà dei giovani artisti italiani, che si sono imposti dopo la transavanguardia e al di fuori di quelle indicazioni, come di “neo-concettuali”.
Sta di fatto che non riusciamo a trovare un altra denominazione altrettanto efficace per definire un lavoro introspettivo, che ponga la forma come un problema e non come un felice esito dell'espressività. In questi artisti l'espressività non resta una categoria incriticata, e anzi, nulla nel processo creativo si sottrae alla critica, o per meglio dire alla problematizzazione. E' neo-concettuale il lavoro di Daniela De Lorenzo? Il suo contributo
fin dall'inizio si è identificato con una messa in questione dello specifico scultoreo, dove lo specifico si pone immediatamente come problema. L'analisi infatti si dipana sul filo della negazione, i connotati classici della scultura vengono rovesciati e lo specifico viene assunto, si direbbe, solo in quanto simultaneamente confrontato con il non-specifico.
Questo carattere introspettivo e denegante nello stesso tempo si ritrova in altre ricerche italiane: il neo-concettualismo sembra un termine legittimo solo se avvertiamo subito
che l'emergenza di funzioni metalinguistiche travalica il testo e giunge a coinvolgere il contesto dell'opera d'arte. Rispetto al concettualismo storico, o per meglio dire alla sua vulgata, queste tendenze misurano una differenza nella loro propensione all'analisi, non tanto dei codici in se stessi quanto del loro funzionamento rispetto ad altri codici.
L'arte per questi artisti è un sistema dalle valenze ideologiche molto condizionanti, una produzione di senso fluttuante e bisognosa di decostruzione, un ambito fenomenologico da sottoporre a verifica, in quanto proprio qui nella fenomenologia, avviene per statuto la prima verifica dell'opera. Nel caso di De Lorenzo, l'opera stessa è questa verifica, nel senso che essa non reca un senso forte, ma si esplica in quanto relazione, dove l'altro polo è lo spazio. Ho già avuto modo di scrivere di questo esplicarsi nella relazione fra l'opera e lo spazio. Le opere di De Lorenzo sono quasi sempre e non a caso,concepite come insiemi che prendono senso dalla loro ubicazione nell'ambiente (a muro, a terra). Questa relazione rifonda l' opera dalle origini, governa la sua stessa nominazione, articolata alla luce della consapevolezza della crisi del progetto.
I materiali, per esempio, non sono quasi mai quelli tradizionali, e anzi, come nel caso delle prove più recenti, essi diventano effimeri o poveri. Questo non per una questione estetica,
se mai per una scelta culturale che gioca sul paradosso: effimere, le sculture di De Lorenzo, raggiungono però un assetto aulico, che richiama la classicità e anche la preziosità di un indiscutibile compostezza formale.
La questione, o il nucleo della crisi e della sua rappresentazione sta proprio qui: viene tematizzata l'impossibilità per l'opera d'arte di raggiungere il senso pieno, la piena presenza, la pienezza comunicativa, determinata dall'irrimediabile marginalità del discorso artistico.
Dentro il macrotesto delle comunicazioni, il microtesto dell'arte perde effettualità; dentro la falsità del sistema la verità dell'arte può essere percepita solo come debolezza.
Non è un caso dunque che gli artisti si concentrino su questa verità, debole,minuta, sempre pronta a rovesciarsi in contraddizione e paradosso, per saggiare quanto di antagonista in esso ancora risiede. Anche questo è neo-concettualismo?
Si, perchè pone in atto una strategia culturale una volta negata naturalità all'espressione,
una volta rigettata l'espressività soggettiva come mitologia.
Le opere di De Lorenzo sono sempre state costruttività in atto, cioè affermatività, cioè voler dire di sì. Si è sempre trattato però di una tensione costruttiva pronta a specchiarsi nel suo possibile mancare. Ciò comporta una critica al costruttivismo come ideologia,o, ancora come mito, e una ricerca di definizioni più credibili proprio perchè discusse fin dal momento del loro instaurarsi.
Il vuoto invece del pieno, per esempio, l'estremo relativizzarsi di ogni attestato di identità, la molteplicità delle scelte formali, o dei materiali, la libertà imprevedibile e anche l'arditezza delle disposizioni.
L'istanza, a volte tirannica, dello spazio designa un punto di non ritorno dove l'identità si perde definitivamente nella mescolanza, nello sdoppiamento. L'immaginario della scultura si confronta con un immaginario dell'architettura come luogo dove lo spazio viene sottoposto a definizione, dove i codici si doppiano con altri codici e insieme enunciano, nello stesso tempo, la propria funzionalità e la propria inanità.
Nei lavori più recenti, illustrati in questo catalogo,sembra che nel rapporto opera/spazio si risolva nell'incorporazione del secondo nella prima,mediante connessioni definitive e ancora caparbiamente non-univoche, aperte, inassegnabili.
In questo nuovo universo di forme, è interessante la funzione assunta dalla linea, qualcosa che sta agli antipodi del tutto tondo, dello sviluppo nello spazio, e che pure qui diviene formativa. Produce forma, indica sviluppi , fonda legami. L'artista parte dalla manifestazione di una manualità libera, ma priva di enfasi, che si da in negativo, sotto forma di tagli sui fogli di cartone, giungendo con questo ad un punto estremo di riduzione dell'atto scultoreo o sotto forma di modellature dei solidi di legno, poi disposti a terra senza supporto e, si direbbe, senza fondamento
Nelle tele invece la linea si fa vero e proprio legame, filo, e la manualità, ricamo: il filo lega insieme la struttura, gli insiemi di tele e telai sovrapposti e liberamente conformati, dando all'idea della scultura una veste effimera e raffinata per le suggestioni culturali che comporta. Il ricamo rimanda all'intrecciare primigenio, all'origine della costruttività; la tela ricorda gli stendardi e la figura che il ricamo compone richiama sia l'araldica che le decorazioni architettoniche. Ogni opera, ogni pratica nel lavoro di De Lorenzo chiama in causa comunque l'architettura: per tracce minime, nelle figure appena delineate, nei particolari posti come per metonimia, ma enunciati secondo un repertorio classico e su regole di euritmia. Ciò che fa testo per l'artista è ciò che sfugge al senso e alla prevedibilità.
Se il fare scultura si trasforma nella minuzia della manualità, il pensare all'architettura diviene proiezione onirica.
Non credo che si possa trovare una qualità particolarmente femminile nel lavoro di De Lorenzo; è certo però che il suo particolare discorso assume coraggiosamente il rovescio della virilità e ne fa una questione morale.
Bisogna sfuggire alle identità accertate e strappare il possibile dall'impossibile per rifondare il progetto, l'arte come progetto,cui il neo-concettualismo, se esiste, si deve dedicare.
Giorgio Verzotti
dal catalogo della mostra Trigon 1991/92 Neue Galerie, Graz.