Una certa probabilità 2016
Museo Novecento, Firenze.
15 giugno - 23 ottobre 2016
A cura di Valentina Gensini.



E’ la direzione dello sguardo che determina la direzione del tempo – non il contrario-.
Viktor Von Weizsäcker, Forma e percezione, 2011

Presente all’interno del percorso permanente del Museo Novecento con Senza Titolo 1988, un lavoro dal linguaggio minimale affine a poetiche post-concettuali, Daniela De Lorenzo presenta per la mostra Una certa probabilità una selezione di 7 opere rigorosamente inedite, prodotte appositamente tra il 2014 e il 2016.

Il Museo Novecento inaugura così una nuova stagione di mostre temporanee dopo aver accompagnato l’artista in un lungo e attento percorso di riflessione e produzione, durato oltre due anni, ed iniziato contestualmente alla progettazione del museo stesso.

L’aspetto legato alla produzione dell’opera, allo sguardo critico su di essa e al suo mutare prospettiva nel tempo e nel naturale definirsi della vie des formes, è un elemento di assoluta importanza nella politica culturale del Museo, che elegge, non a caso, una grande artista del territorio, donna. Le collezioni civiche soffrono infatti la mancanza di sufficiente rappresentanza femminile, e dunque la programmazione cercherà di non ripetere immotivate parzialità usate in passato nella costituzione di collezioni pubbliche e private.



 Equivalenti 2015/2016, particolare



Artefice di una ricerca liminale, prossima alla scultura, Daniela De Lorenzo si muove liberamente tra linguaggi e medium diversi quali fotografia, pratiche scultoree e installative, video e performance, ricamo e scanner, sperimentando continuamente le diverse possibilità della materia e attestando soluzioni formali di grande compiutezza formale.

Nonostante il corpo umano ricorra spesso nella sua pratica artistica, la ricerca di De Lorenzo non si focalizza sulla spoglia ma sulle percezioni che avvengono attraverso il corpo stesso. Medium e parametro fondamentale di una singolare fenomenologia della percezione, il corpo è soggetto e oggetto dell’indagine praticata dall’artista.

L’approdo alla scultura, alla installazione, all’imago sfuggente o in movimento, sono la naturale prospettiva in cui si colloca un lavoro complesso, preciso, instancabilmente meticoloso, capace di unire arte e scienza nella migliore e più alta tradizione umanistica.

I lavori esposti al secondo piano del Museo Novecento indagano il corpo umano nei suoi aspetti più sensibili : dalle ceramiche ai ricami, dalle fotografie alle sculture di carta, fino al video, le opere attestano il delicato rapporto tra corpo, identità e percezione. Condensando la memoria di un gesto o evocando la fisicità di una entità sempre assente, la metonimia elegge frammenti significanti siano essi nervi, organi, o arti. Lungi da costituire lacerti di esistenza, i brani corporei rappresentano suggestioni analogiche di esami scientifici o di una pratica artistica matura e determinata, concentrata sullo sguardo.



  Una certa probabilità 2016



Al centro della mostra due mani sinistre e due piedi destri in ceramica blu pavone attestano una certa probabilità di esistenza; collocati a parete dopo una ponderata valutazione degli spazi del museo, sono il risultato di calchi ottenuti da modelli realizzati in feltro. Questo materiale, scelto e prediletto in quanto rara stoffa non tessuta - e dunque materia aggregata liberamente, senza il vincolo preordinato di trama e ordito-, informa numerose opere dell'artista, che agisce una ricerca sempre attenta all'elemento cromatico: siano i rossi intensi dei busti e dei dorsi, o i grigi azzurri di mani che si sfiorano, o ancora, come in questo caso, i toni freddi e brillanti scelti per la ceramica, i colori utilizzati da De Lorenzo appartengono ad una palette rara e preziosa, frutto di una meditata e colta ricerca. Nel caso di Una certa probabilità (2015-2016) l'opera è ispirata infatti dalle suggestioni cromatiche dei verdi e blu cangianti di Pontormo, e guarda agli affreschi cinquecenteschi ricchi di una gestualità antica eppur moderna nella sua esasperazione cerebrale. Sì che le mani e i piedi, frutto di un delicato lavoro di osservazione su se stessa ed un'abile traduzione in feltro, vengono infine mutate in ceramica e fissate in una materia dura ma fragile, dalla superficie seducente, così impudentemente opaca.

Una suggestione sacra informa queste due singolari coppie, e affiora una memoria collettiva -sebbene non volontaria- di religiosa ascendenza. Come nell'iconografia del Christus Patiens, mani e piedi sono unite da un cavo di acciaio: simile ad un filo spinato questo cavo avviluppato le tiene insieme, a coppie, in una silloge sofferta e innaturale quale l’unione dolente, inchiodata, degli arti del Crocifisso. Le mani rilassate ricordano l'abbandono della morte, mentre i piedi, in una tensione innaturale al limite della distorsione, evocano il dubbio, disposti ad un passo incerto disposto alla caduta.

Il misterioso accrochage non mima alcuna segregazione: il filo cuce, sutura, ricama e tiene insieme. Gli arti si addossano l'un l'altro in un abbraccio impossibile ed incongruo, perché la riproduzione è dichiarata e concettuale: negata ogni mimesis biou, quella imitazione della natura così cara agli antichi e codex imprescindibile di ogni arte classica, la pratica concettuale di De Lorenzo implica piuttosto una riflessione scevra da ogni implicazione mimetica. Le mani sono due destre ed i piedi due sinistri, pertanto questi quattro elementi non possono, neanche volendo, evocare un corpo unico e corrispondente al vero.

Il traslato materico da feltro a ceramica rappresenta dunque una scelta alchemica precisa che allontana dal vero anche quando al vero sembra somigliare, in un sofisticato gioco di rimandi tra gradi fenomenici e riferimenti concettuali.

L’espediente del traslato, così centrale nell’artista, lavora anche sull’elemento identitario più forte: il volto.



  Figurare e Paripasso 2015/2016



In Paripasso , ricamo su tela del 2015 dal titolo provvisorio Tre minuti, quello che appare come un volto assai singolare è in realtà una oculografia, cioè la traccia dello sguardo di un volto su un altro volto, registrata durante l'osservazione di un ritratto fotografico. Il ricamo riproduce la mappa del movimento oculare, parafrasando l'attenzione deputata dalla visione volontaria ad ogni particolare, in specifico l'insistenza sugli occhi e su altri due elementi, naso e bocca, agenti fondamentali delle nostre funzioni cognitive sensuali.

Analogamente a Paripasso, Vibrante (2015), intarsio di carta cotone su mdf, promette una restituzione sottile e articolata di un esame scientifico eseguito dall'artista su se stessa, relativamente alla misurazione dell'equilibrio. Anche in questo caso si registrano tracce impossibili: l'attenzione è rivolta al bilanciamento di una stabilità palesemente dinamica, e i disegni, divenuti veri e propri intarsi, interpretano quattro momenti in cui l’artista ha registrato la proiezione del proprio baricentro a terra, restituendo la vibrazione del proprio corpo in posizioni e situazioni di diversa tensione o difficoltà statica. Movimento, dunque, in quattro tempi.

Quasi un insolito ritratto, l'altro ricamo, Figurare (2016), non evoca un volto attraverso i muscoli, ma traccia i nervi mimici facciali: i filamenti nervosi, collegati al cervello attraverso sinapsi, consentono di esprimere in modo immediato ogni espressione e stato emotivo. De Lorenzo ripercorre pazientemente uno studio anatomico disvelando quanto resta comunemente invisibile alla percezione umana: fiorisce così una mappatura di agenti tradotta in ricamo bianco su bianco. Dunque in potenza, questo volto tradisce e nasconde infinite manifestazioni emotive pronte ad attuarsi.



                                Equivalenti 2015/2016



Altri due ritratti mancati risultano Equivalenti (2015-2016), due teste in carta cotone stratificata. L’esposizione ponderata, offerta su due piani inclinati, non consente mai all’osservatore di cogliere i due autoritratti insieme, enfatizzando così l’importanza dello sguardo nel tempo.

L’origine di questo lavoro è fotografica: attraverso l’autoscatto l'artista ricerca un particolare punto di vista, in questo caso estremo, tanto da deformare il volto fino alla sua mancata riconoscibilità (lo scatto frontale è ripreso da sopra o da sotto in su, analogamente alla migliore tradizione manierista). Quindi l'artista procede con il ritaglio e giustapposizione di strati di carta sagomata, sia sopra che sotto la foto originaria. La stratificazione presente nelle sculture in feltro ritorna anche negli strati di carta, priva di trama e ordito proprio come il feltro, bianca come il marmo, ma porosa ed opaca come la ceramica esposta in mostra.

Analogamente ad altri lavori si parte da una presunta simmetria del volto, riproducendone i due lati sopra e sotto la fotografia, matrice di partenza. Si pensi a Contrattempo (2014), appartenente alla medesima serie. Il lavoro concettuale basato sul codex della simmetria tradisce, in realtà, la menzogna della rispondenza armonica e la mancata verità del tuttotondo. Infiniti strati di carta tenuti insieme dalla colla presentano un volto in cui c'è una concentrazione di spazio (manca la parte centrale del viso, tutto si concentra in un solo ciglio), e dunque di tempo.

Il colto immaginario non solo si nutre delle pratiche scultoree sperimentate dall’antichità al Novecento, ma mostra una particolare, colta sintonia con la scultura medievale e rinascimentale, dagli esiti prossimi ad altorilievi e sculture di Donatello o Desiderio da Settignano.

Lungi da ogni narcisismo, la scelta dell’artista di utilizzare il proprio fisico come parametro e modello dipende da un elemento di opportunità, ma non solo: il corpo è lo strumento di cui ciascuno di noi dispone in ogni momento quale modello della rappresentazione, ma è altresì l’agente con cui osserviamo, percepiamo e misuriamo la realtà. Questo doppio traslato diviene così elemento portante di un procedimento analitico ed analogico che utilizza il sé come oggetto della ricerca, e allo stesso tempo come vettore, origine e misura di ogni percezione. Come Pontormo usava se stesso quale modello di arditi studi di nudo allo specchio, capaci di accogliere ‘’scetticamente’’ ogni deformazione dovuta a torsioni o punti di vista anomali, allo stesso modo Daniela De Lorenzo parte dal ritratto fotografico per utilizzarlo come fondamento di una germinazione materica stratificata, che restituirà una tridimensionalità impropria e ‘’disobbediente’’ al vero. E la pratica artistica perpetua un ennesimo passaggio analogico: qui dalla fotografia si passa alla scultura così come dal feltro si arrivava, per traslato materico, agli arti in ceramica.



  Qui e là 2016



Attraverso l’immediatezza di un gesto, la serie fotografica Qui e là (2016) si concentra sul movimento delle dita, apparizioni ineffabili che richiedono tempi lunghi di osservazione: il contatto con il vetro dello scanner sperimenta molteplici avvicinamenti finché diventa etereo, minimale, capace di evocare l'infinitamente vicino (effetto di un vero e proprio contatto) o l'infinitamente lontano, quasi una visione dell'universo in cui l'impronta digitale finge pianeti e scie luminose.



                     Tune 2014, videoinstallazione



In Tune (2014) ritroviamo un piano analogo di alternanza: la successione fotografica in dissolvenza ci mostra l’artista di spalle, celata da una quinta scenica ordinaria: una parete dello studio, luogo alchemico delle trasformazioni. Un teschio da lei modellato in feltro si oppone al volto reale, continuamente negato, citazione dell'alterità inafferrabile di Giano bifronte. La presenza dell’artista/performer si concentra dunque sul busto quale unico elemento concesso allo spettatore, volutamente ambiguo ed esasperato dalla maglia a righe, quasi ad evocare le coste.

Il sonoro rappresenta un elemento dominante e avvolgente nella sala interamente pervasa da una risonanza che giunge fino all'ambiente precedente, quasi il canto ambiguo di una sirena. Come la ricerca musicale del tono verso una unità corale e polistrumentale non ancora esibita, lascia emergere l’oboe, il violino o il pianoforte nell'infinita attesa dell'armonia formalizzata del concerto, così la presenza della figura umana è fluttuante e parziale, in un gioco tra presenza e assenza fatalmente affine al dubbio amletico.

Anche il video Tune, come preannuncia il sonoro, non è altro che un principio evocato e non palesato, attraverso il continuo provare, conciliare, accordarsi del suono e dell’immagine in un’attesa mai soddisfatta. In una sequenza di circa cinquanta scatti, l’animazione fotografica consente di intuire, tramite la dissolvenza, il movimento del corpo. La scelta di mettere insieme il suono di varie accordature di orchestre sinfoniche sottolinea, come segnala De Lorenzo, “un evento senza storia, in perpetua attesa...”. Tune è dunque un lavoro sul tempo, altro elemento centrale nel lavoro dell’artista: il tempo delle attese, il tempo lungo dei ricami, il tempo delle trasformazioni e dei passaggi da una materia all’altra, il tempo non misurabile delle identità ricercate attraverso metodi impudentemente impropri, come nelle teste in carta.



  Vibrante 2015



Due elementi dunque offrono chiavi di lettura interessanti per queste sette opere inedite, ed entrambi trovano chiara comprensione attraverso il pensiero di Maurice Merleau-Ponty:
L'elemento temporale come dato imprescindibile, giacché non esiste spazio senza tempo, e, in fondo, “è la direzione dello sguardo che determina la direzione del tempo – non il contrario”, come sostiene Viktor Von Weizsäcker nell'interpretare il filosofo francese (V.Von Weizsäcker, Forma e percezione, trad. it. Milano 2011, p. 34)
L'espediente del traslato, per cui il corpo, nella sua doppia veste di soggetto e oggetto dell'indagine, è caratterizzato dalla capacità di esercitare quelle “autopercezioni” che il filosofo francese citava quale esempio di non coincidenza tra correlazione noetico-noematica husserliana.

Focalizzata sul tempo e sul corpo – luogo dell’esperienza autopercettiva – la ricerca di De Lorenzo genera dunque forme analogiche espresse per traslato. In virtù di uno specifico metodo analitico, il traslato muta le forme ed i materiali attraverso una pratica artistica tanto scientifica quanto alchemica; una pratica sempre attenta al contesto ambientale, su cui ciascun lavoro viene puntualmente riponderato.

L’indagine intensa e metodica di Daniela De Lorenzo affronta con grande determinazione un’avventura intellettuale coraggiosa, lunga, difficile, capace di grandi intuizioni e di verifiche colte. Questa mostra ne rende atto con consapevole complicità.



Valentina Gensini


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