Agile
Galleria Nicola Fornello Artecontemporanea
Prato
3 / 29 marzo 2005
Testo in catalogo di Pierluigi Tazzi



Agile 2005, frame.

READING

….La passione di Daniela De Lorenzo implode nella forma. Questa implosione crea la cifra misteriosa che caratterizza il lavoro di questa artista. Cifra unheimlich per usare il termine con cui Sigmund Freud in un saggio pubblicato nel 1919 definiva il carattere comune alle repliche più o meno realistiche del corpo vivente come le bambole, i burattini, le statue di cera, gli automi, come quello, ad esempio, che fa la sua inquietante comparsa nel racconto scritto da E.T.A. Hoffmann nel 1816 e intitolato Die Sandmann, a cui si inspirarono sia Léo Delibes per creare nel 1870 uno dei più noti balletti romantici, Coppelia – e l’attenzione verso il balletto in Agile è dichiarata -, sia Jacques Offenbach per il primo atto della sua opera rimasta incompiuta per la morte nel 1880 del suo autore e appunto intitolata Les contes d’Hoffmann - da cui è tratta la famosa barcarola utilizzata, insieme ad altre due romanze di altri autori, da Daniela De Lorenzo nella performance Controcanto che ha avuto luogo in una notte del luglio del 2004 a casa Fornello in Giolica di Prato. Questi riferimenti non hanno mai effetti spettacolari e partecipano a quest’implosione che li rende, come dire, silenti. Come se fossero state abrase le voci, i sussurri e le grida, in virtù di una sorta di riserbo declinato al femminile, di una scontrosità gelosa - e dando a questa parola una etimologia eterodossa, da gelosia, non intesa come sentimento, ma come elemento architettonico, quel marchingegno cioè che copre le finestre ed impedisce a luce e sguardi di penetrare in un interno di cui si voglia conservare l’ombra e il segreto. Se si manifesta un’attenzione per il teatro, un teatro già manierato come il balletto e l’opera, non è per i suoi effetti, ma per la sua essenza di evento: i corpi che si svuotano di corpo e il canto che si svuota di narrato. Il dramma è dentro e non si svela. E’ come se non ci fosse. E quindi non c’è. Il dramma è abolito dalla vista, dalla sua rappresentazione, come è abolita ogni fatica, ogni assillo, ogni affanno, da cui pure scaturiscono quelle forme, quelle immagini, quelle posture, quelle contratture, per utilizzare un termine coniato dall’artista stessa. Nel momento dell’emersione dell’opera alla luce del mondo tutto quel che è stato sparisce: la forma per Daniela De Lorenzo è questo svanimento senza alcuna soluzione consolatoria.



veduta parziale della mostra Agile 2005


Agile, più che una mostra in cui si raccolgono più opere, è lo spazio stesso che l’artista ha creato attraverso una precisa disposizione in esso di singoli oggetti. Il video è l’origine di tutto il progetto. Daniela De Lorenzo ha chiesto ad una ballerina di compiere dei movimenti che volgessero normali posture in vere e proprie contratture. L’idea scaturisce dalle analisi sull’isteria che il grande neurologo Jean-Martin Charcot intraprende nella seconda metà dell’Ottocento presso l’ospedale parigino della Salpetrière. Charcot per i suoi studi si avvale anche della fotografia che é in grado di fissare i movimenti del corpo dei pazienti affetti da isteria nel momento dei loro attacchi, e si trattava perlopiù di donne. Rimane oggi un vastissimo archivio di immagini. Charcot associava l’isteria alla dimenticanza. La ripetizione coatta di certi gesti, di certe posture, non era altro che il tentativo per il malato di fissare quel che la perdita di memoria gli sottraeva, di colmare lo spaventevole vuoto che si veniva a creare nel momento della crisi isterica. Freud, che aveva studiato con Charcot, parlava dell’isteria come “deformazione dell’arte” nel senso che l’individuo affetto da questa malattia sublimava attraverso il gesto isterico il proprio mancato rapporto con il mondo, nello stesso modo in cui l’artista attraverso la propria opera tenta di sublimare il suo.



Cura la tua destra 2005, feltro e tempera


Daniela De Lorenzo opera una sorta di viaggio a ritroso: parte dal corpo e dalle sue posture per raggiungere l’arte. Questo processo non è attuato attraverso lo strumento dell’analisi discorsiva, ma attraverso la restituzione completa delle tracce. Il corpo in movimento è documentato nel video, come record di una performance. Poi è l’immagine, restituita in forma fotografica. Poi sono i corpi sospesi e senza corpo, abiti, habitus, materializzazioni del movimento e, insieme e immediatamente, occupazione plasticamente concreta dello spazio. Quindi la scena: la parete dipinta e il corpo senza corpo che vi si appoggia, in uscita. Se questo è il processo di costruzione, l’effetto mostra è diverso e mescola le carte. Prima è il colpo d’occhio che consegna l’intero spazio alla totalità dell’opera. Il tutto oscilla fra visione prospettica canonica e frantumazione della visione totalizzante che la prospettiva implica e impone. La scena allora non è la scena, è l’uscita, e lo spettacolo si trasforma in ipotesi di salvezza. Eppure oltre la parete scenica attende, muto, ancora un oggetto, un abito, un corpo senza corpo, un habitus, in volo, in fuga, volo e fuga simulati nella suggestiva costruzione, illusoria e concreta, dell’arte.
English text

Pier Luigi Tazzi, Prato 19 marzo 2005.