Una linea attraverso
Testo di Arabella Natalini
Museo Novecento, Firenze.
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Dal primo giorno della sua apertura, un’opera ‘lineare’ di Daniela De Lorenzo segna una parete del Museo Novecento di Firenze. Senza titolo (1988) è una scultura in ferro concisa e, come altre opere dell’artista, sottilmente enigmatica: essenziale e afferrabile nella sua fisicità come fosse un corrimano, non si svela tuttavia una volta per tutte, ma rimanda, nella sua essenzialità, a cose diverse: a una linea disegnata che si sviluppa nello spazio, a un oggetto d’uso misterioso, a un inizio di costruzione, a uno skyline...
Nel caso specifico, quell'opera risulta da un'elaborazione di alcune assonometrie trecentesche, a indicare non solo l'attenzione verso le coordinate spaziali, ma anche verso quella più propriamente architettonica; un’attenzione a cui si affiancherà, di lì a breve, quell’interesse per il corpo e la dimensione temporale che connota, a tutt’oggi, il lavoro dell’artista. L’uso della linea attraversa però diversi momenti della ricerca di De Lorenzo. Se nei suoi primi lavori la linea viene individuata come strumento di circoscrizione, identificazione e comprensione, e impiegata dunque per individuare le forme essenziali della realtà, a partire dai primi anni ‘90 l’artista realizzerà sculture che si liberano dalla dimensione geometrica per inoltrarsi in territori più fluidi e sinuosi, ‘organici’. Tuttavia, nei suoi emblematici lavori in feltro, le caratteristiche della materia consentono alla linea di svilupparsi in bordi, pieghe, legature… segni che scandiscono la nostra percezione contribuendo a dar forma e significato all’oggetto. Successivamente, in lavori più recenti, le linee sembrano venir risucchiate dal lavoro della mente, quasi a esplorare i tempi e i modi della percezione in atto, per poi esserci restituite concretamente nei tracciati dello sguardo, colto in flagrante mentre perlustra la morfologia dei soggetti che incontra.
Il processo elaborativo pare dunque assumere una direzione inversa rispetto alle prime ricerche: mentre allora le linee che il mondo suggerisce alla nostra percezione venivano oggettivate in forme scultoree autonome, adesso viene in primo piano l'analisi degli stessi meccanismi percettivi, restituiti e sostanziati in segni tangibili altrimenti invisibili.
Forse, allora, possiamo identificare in questa scultura del 1988 la ‘linea generatrice’ di molte altre che, di là in poi, si sono dipanate nell’opera di De Lorenzo: costruttive e fisiche come quelle presentate in alcune sculture a essa coeve, ‘incise’ a scandire superfici bidimensionali, serrate a costringere le forme che si sviluppano nelle tre dimensioni, intrecciate in monogrammi e ricami, fino ai ‘tagli’ che si sviluppano in più direzioni. Ciascuno di questi ‘gruppi’ di linee, sia nei lavori più prettamente architettonici sia in quelli d’ispirazione anatomica, dà corpo a un mondo di osservazioni, concetti e riflessioni, dove le ‘visioni interne’ dell’artista, indeterminate e dinamiche, prendono forma concreta grazie a una lunga e accurata lavorazione.
La perdurante indagine sulle modalità percettive, alimentata da ricerche e approfondimenti in diversi campi del sapere, attraversa dunque la riflessione sul corpo. La sua natura ed essenza vengono interrogate da De Lorenzo con molteplici forme e media: dalle sculture in ferro, legno, feltro, carta o ceramica, alla fotografia, al video, oppure con l’impiego di linee (ritagliate, intarsiate o ricamate) che rinvengono la struttura anatomica e il funzionamento degli organi percettivi. In particolare, l’esteriorizzazione dello sguardo diviene talvolta il soggetto stesso della rappresentazione. Così, una serie di lavori recenti, registra i movimenti della visione per mezzo di linee frammentate e scomposte, come nel caso di Paripasso, l’opera a ricamo ora esposta in prossimità del Senza titolo del 1988.
A due anni dall’apertura del Museo Novecento, Daniela De Lorenzo torna infatti ad ‘abitarlo’ con Una certa probabilità – il lavoro che dà il titolo alla personale fiorentina -, Vibrante, Paripasso, Figurare, Equivalenti, Qui e là, Tune: sette opere inedite (tutte realizzate tra il 2014 e il 2016) che svelano, discretamente, la ‘linea sottile’ che attraversa il lavoro dell’artista, andandosi a ricongiungere, a ritroso, a opere che le hanno precedute.
La linea di definizione architettonica che caratterizza l’opera del 1988 (e alcune opere coeve, tra cui Incondizionato, Inizialmente, Limitare, Rumore di fondo, Sospesi...) è stata presto seguita da altre linee - come quelle dei ‘delicati cretti’ che solcano verticalmente le superfici in fibra a media densità (MDF) di Eventi (1990) -; e ora, a distanza di molti anni, quelle linee, tagliate e vuote, sembrano essere state rievocate e colmate, per andare a sondare nuovi territori.
É questo il caso di Vibrante (2015), il ‘prodotto’ di quattro esercizi di equilibrio, dove l’artista ha proiettato il suo baricentro a terra registrando diversi gradi di vibrazioni - ‘contenute’ o più ‘sfilacciate’, in base alla stabilità dell’appoggio o al tenere o meno gli occhi aperti - incise poi col laser sul MDF e, successivamente, intarsiate in carta cotone. Con tecnica analoga, nella ‘serie delle oculografie’ (registrazione delle tracce lasciate dai movimenti oculari), ulteriori segni, depositati stavolta dal movimento dello sguardo, svelano le “traiettorie invisibili” con cui i nostri occhi perlustrano l’oggetto.
Oculografie
A partire dall’opera a pavimento intitolata Indizi (2014), De Lorenzo ha iniziato un peculiare processo di trasposizione di registrazioni del movimento degli occhi in relazione a soggetti diversi. In particolare, sulla superficie quadrata dell’opera in questione, emergono le tracce di quattro “esercizi oculari”, dove ogni esercizio ha richiesto l’osservazione di una scena (in questo caso, un interno domestico con più persone) per cinque secondi. Il risultato è una superficie astratta, i cui angoli presentano dei piccoli ‘grovigli’ bianchi, monogrammi enigmatici che, conoscendo le ‘regole del gioco’, rivelano le linee che cuciono insieme soggetto e oggetto.
Tutte le analisi oculografiche fanno emergere come lo sguardo si concentri principalmente su alcuni tratti del volto, e non è dunque un caso che proprio quest’ultimo sia stato l’oggetto indagato in Paripasso (2014), anch’esso realizzato su MDF. Siamo nuovamente in presenza di un’oculografia, ma seguita per un tempo inferiore, ed è per questa riduzione temporale che il disegno è meno insistito e denso di altre rilevazioni.
Nell'opera omonima realizzata l'anno seguente, Paripasso (2015), ed esposta ora per la prima volta, il tracciato oculare – per sua natura rapido, dinamico e sfuggente - è restituito pazientemente con ago e filo. Questa antica pratica, che procede per brevi linee segmentate, pare congeniale all’artista che, a partire dal 1990, vi tornerà in più occasioni, realizzando anche, nel corso dell’ultimo decennio, quelle suggestive ‘anatomie ricamate’ che precedono alcune delle opere prese in esame. La tecnica del ricamo informa, per esempio, Figurare (2016) - qui mostrata in dittico con Paripasso – che ora, però, ripercorre le linee dei nervi faciali sottostanti ai movimenti del volto: le sue espressioni, precedentemente indagate attraverso i movimenti dello sguardo altrui, vengono sondate adesso dall’interno ed esposte allo sguardo altrui. Ne emerge una sorta di specularità sghemba e straniante, come se, sottoposti ai raggi X, o a uno sguardo innervato dalla tecnica, le linee percorse dall'occhio, alla ricerca di quelle espresse da un volto, si rispecchiassero l'una nell'altra senza mai coincidere o trovarsi.
Sebbene De Lorenzo non faccia uso diretto di strumenti diagnostici, il suo lavoro sembra talvolta implicarne la possibilità. Ma queste stesse protesi della percezione vengono poi sabotate, o almeno messe in discussione, dal gesto antico, lento e paziente dell'ago e del filo. L'inquietudine che aleggia intorno a questi lavori delicati e sommessi è forse dovuta allora non solo a una specularità disattesa, ma anche, al tempo stesso, a una dissonanza tra tecnologie moderne e tecniche manuali, arcaiche e familiari.
Estroflessioni
Ciascuna di queste opere, nella sua singolarità, va a formare un insieme in cui le linee appaiono in modi diversi, a rilievo (come quelle del ricamo), o incise (come quelle già ‘affiorate’ in Eventi o nella ‘serie di intagli’ incisi nel MDF). Ma De Lorenzo offre alla linea altre avventure e possibilità: in alcune opere recenti le linee sembrano liberarsi nelle tre dimensioni attraverso un peculiare movimento di estroflessione.
Così, Contrattempi ed Equivalenti prendono forma attraverso sagome ritagliate e sovrapposte una a una, come se al gesto lineare del tagliare fosse stata concessa l’occasione di ‘riempire’, attivando un processo di costruzione tridimensionale.
E qui ritroviamo l’analogia con le immagini offerte da uno strumento diagnostico, nella fattispecie quello della tomografia assiale codificata (tac). La costruzione delle teste ricorda infatti il processo di sezionamento compiuto dalla macchina che, indagando in profondità, restituisce uno ‘sguardo’ che lascia da parte la concretezza del corpo e lo essenzializza, estraniandolo. Ma ritroviamo anche l'attrito, la dissonanza con un gesto elementare e preciso: seguendo nuove linee, l’artista ha costruito, grazie a un lento processo di stratificazione, due prime coppie di teste in scala 1:1 che, nonostante la ‘grandezza naturale’ e lo sviluppo volumetrico, risultano velatamente perturbanti. Le due teste di Contrattempi (2014), se viste di profilo, mantengono infatti le proporzioni dell’originale, ma appena il nostro sguardo le cattura frontalmente si percepisce una forte incrinatura, un “contrattempo visivo”, una mancanza. Come se le due parti laterali del volto fossero state unite tra loro cancellando, a sorpresa, la sua parte centrale. Questa assenza, ‘segnata da un imprevisto’, turba il lavoro della percezione che rileva due autoritratti sfuggenti, “mancati”.
In modo analogo, altri due “autoritratti mancati” mettono alla prova le nostre capacità percettive. In Equivalenti (2015-2016), ora in mostra al Museo 900, il senso di straniamento appare però più direttamente indotto dalla ‘materializzazione’ del particolare scorcio fotografico (dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto) con cui De Lorenzo ha ripreso il suo volto. La forte distorsione che ne consegue ci restituisce un raccorciamento delle distanze tale da rendere (apparentemente) incongrue le due meticolose trasposizioni tridimensionali.
Entrambe le opere rilevano quindi i nostri meccanismi percettivi, mettendoci alla prova, rendendoci consapevoli di come la percezione sia un lavoro e non una semplice risposta a uno stimolo. Creando degli ostacoli a una percezione vissuta come ovvia, pongono in rilievo l'enigma della percezione, la non aderenza ai dati retinici e la nostra azione sempre interpretante e tesa al significato. Mentre a un primo sguardo i Contrattempi appaiono fedeli alla naturalezza menzionata, e solo con il tempo e con una visione frontale mostrano l’incongruità della rappresentazione, nel caso degli Equivalenti il processo sembra ancora invertirsi: gli Equivalenti risultano difatti, di primo acchito, distorti, ma si ricompongono ai nostri occhi grazie a un’osservazione protratta. Entrambi i gruppi possono essere letti quindi come ‘trappole per la percezione' da cui il nostro sguardo, al contrario di quello che avviene, più banalmente, con le illusioni ottiche, si può liberare, a patto però di compiere quel lavoro che la percezione distratta non sa di compiere.
La ponderata lentezza del procedere dell’artista richiede allora un’analoga lentezza all’osservatore, che solo concedendosi tempo riuscirà ad avvicinarsi, e a comprendere più adeguatamente, l’identità dell’opera e, forse, la propria.
Arabella Natalini