Albedo o chiardiluna
Crumb Gallery
Via San Gallo,119 rosso - Firenze
13 / 01 - 11 / 03 / 2023
a cura di Mirco Marino



Albedo o chiardiluna 2023


Del bianco degli agrumi
Testo di Mirco Marino

La mostra Albedo o chiardiluna di Daniela De Lorenzo racconta la delicata relazione tra spazio e tempo attraverso la storia dell’arte, la scultura e il montaggio.


La leggerezza dell’ellissi

Albedo o chiardiluna, la serie fotografica di Daniela De Lorenzo sottolinea una dimensione di emersione e ricerca di quell’al di là dal velo che per secoli ha governato il visibile e la sua rappresentazione.
L’artista definisce una sequenza di ellissi narrative attraverso una pratica di ritaglio e sostituzione, simile al collage surrealista. A un tratto le figure si fanno vuote, lasciano intravedere ciò che vi è sotto, si lasciano intravedere da uno sguardo sempre più curioso, sempre più profondo verso ciò che sta al di sotto della superficie, al di sotto del velo. Le sagome ammettono allora la trasparenza, attraverso i loro corpi, mediante un’interpolazione che inserisce nella pratica artistica quella specifica del montaggio cinematografico. Riemergono così frammenti di altre sezioni di quadro, ombre di altre rappresentazioni che si lasciano guardare trapassando quel velo che è infine la tela, la rappresentazione, la profondità.
Il movimento imposto dall’opera di Daniela De Lorenzo vicino alla superficialità apparente delle figure di Paolo Uccello non ne svela il segreto, mantiene l’aspetto misterioso di quella rappresentazione al chiaro di luna. Non si tratta infatti di un’operazione che mira a rendere chiara l’opera del pittore rinascimentale, quanto un interrogare attraverso la pratica del montaggio quella storia dell’arte a cui il contemporaneo si trova a prendere parte. Si tratta quindi di rimettere sotto la luce del presente la prospettiva, la profondità, le modalità narrative attraverso una pratica che alleggerisce e allo stesso tempo rende complessa la narrazione ibridando i media.
Il passaggio da medium a medium sottolinea la distanza dall’opera originale in una modalità che rende possibile la modifica e l’opera sull’immagine dell’artista. Le possibilità di De Lorenzo di usare l’opera di Paolo Uccello come un objet trouvé sono aperte dagli strumenti del contemporaneo che traducono la lentezza del medium a olio del pittore in una nuova narrazione veloce ed in serie.
Daniela De Lorenzo evoca allora un tempo instabile all’interno della narrazione lineare dell’opera di Paolo Uccello. Il ritaglio di parti della scena e la loro sostituzione alle volte dando vita a forme surreali, altre introducendo la vacuità dello spazio rappresentato, implica un impianto narrativo ellittico. Ognuna delle dodici fotografie racconta di un presente frammentario, trasparente, instabile che si proietta all’interno della dimensione storica creando un’immagine di un tempo non più come linea, ma come una serie di punti mnemonici nello spazio. È allora nell’ellissi del racconto, nel montaggio di frazioni di rappresentazione eterogenee che avviene la ri-mediazione dell’artista.

Albedo o chiardiluna 2023, veduta della mostra.


Il montaggio è d’altra parte lo scontro nell’istante narrativo di tempi distanti. Si tratta di una multi-temporalità che si articola nello spazio rappresentato così come nello spazio e nel tempo unici della visione. Questa pratica artistica tra il medium fotografico, quello pittorico e le modalità sintattiche cinematografiche permette all’artista di riflettere sull’opera di Paolo Uccello indagandone i processi di messa in discorso usati dal pittore. Così in quella riemersione dalla gabbia prospettica dell’opera, De Lorenzo ne svela una profondità, un sottotesto immaginario che permette di riscoprire, in una teoria della conoscenza retroattiva, quell’istinto sognante che l’artista rinascimentale mette in luce destabilizzando la modalità rappresentativa prospettica. Si tratta allora di tagliare attraverso il velo della pittura, di ricercare attraverso un’istanza espressiva una modalità del contenuto che era ed è sempre stato lì, sotto gli occhi di ogni osservatore, ma che solo in un cambio di prospettiva, in un ripiegamento temporale, può finalmente essere svelato.

D’altra parte, il contemporaneo dimostra che il velo non può essere rimosso, che quella piccola distanza che c’è di volta in volta tra il mondo e tutti i discorsi che lo raccontano può solo essere accorciata, che il velo può solo essere sostituito, reimpiegato immediatamente a un altro livello, sotto un’altra forma. E allora Albedo non può fermarsi a essere uno svelamento, una messa in luce Novecentesca. L’opera si trova a proporre un nuovo velo, non più della pittura, della prospettiva, della tela, ma del fotografico, dell’immagine e del senso. Sottolineando l’impossibilità di catturare quest’ultimo, il tempo e la storia nell’istante unico, ma soltanto attraverso un montaggio di frammenti successivi che mettono in mostra ciò che esiste al di sotto della superficie.

Albedo o chiardiluna 2023


L’implosione dello spazio

La pratica del montaggio scompone allora il tempo attraverso l’ellissi, imponendo nell’istante rappresentato momenti temporalmente distanti che si articolano di volta in volta nella serie di opere esposte. Allo stesso modo il montaggio configura lo scontro di due punti distanti nello spazio, convogliando nel medesimo campo spazi che raccolgono una visione univoca.
Così nella sagoma del corpo della principessa riemerge la grotta, la testa del cavaliere si dispone tra le nubi e il drago si accartoccia su sé stesso. La serie di opere presentate rievoca quell’implosione sotterranea e delicata che lega il lavoro artistico di Daniela De Lorenzo, una pratica che dal profondo plasma le forme in superficie.
È una pratica che ricorre e appare chiaramente in sonni, il ricordo di due sculture in gommapiuma dal titolo a cose fatte del 1998. L’opera si compone di due sculture in gesso con cera e pigmenti. Sul corpo delle sculture corrono dei solchi, delle tracce di qualcosa che è stato. Posti al centro della sala, i sonni addensano il vuoto che li circonda, materializzandolo in un pieno nero che si dà come il punto di fuga della visione.
Le sculture sono allora delle fratture di spazio, dei luoghi ultimi in cui la massa critica porta la forma al suo limite, a contorcersi su sé stessa. Ma sono allo stesso modo fratture di tempo.
Il processo di creazione dell’opera è in questo caso di fondamentale importanza nella costruzione del senso. Sonni è la riproduzione in gesso di a cose fatte, un’opera che vedeva la sua espressione nel piegare e legare della gommapiuma per definirne delle forme. L’opera finita evidenziava l’idea di addensamento dello spazio nella forma, una forma creata attraverso una pratica implosiva, di costrizione. La tecnica di calco e forma di sonni è allora un modo per recuperare dal tempo un’opera materialmente consumata dal tempo stesso, di raccontare sensibilmente quella stratificazione della memoria oggettivandola nel ricordo.
Come lo spazio si addensa nella costrizione delle forme allora, nel lavoro di Daniela De Lorenzo il tempo si addensa nella memoria per trasformala in ricordo. Si tratta di una memoria ritrovata, di figure che ritornano su loro stesse con un portato rinnovato, di un tempo intimamente e indissolubilmente legato allo spazio.

Così le opere di Daniela De Lorenzo raccontano la propria instabilità, figurano un tempo che si ripiega su sé stesso e dà vita a un nuovo senso. Sono immagini che interrogano ciò che sta sotto la superficie, che in brandelli di tela riemerge per rappresentare una nuova narrazione alterandone lo spazio interno ed esterno e che attraverso la memoria della scultura convoglia lo spazio della visione. È un senso che è infine evocato attraverso una pratica artistica che guarda alle forme della storia dell’arte attraverso il montaggio, le dinamiche tra superficie e profondità, i pieni e i vuoti gettando una nuova abbagliante luce su quelle fratture del passato, il quale non può che essere ad ogni sguardo del presente costantemente rielaborato.

Mirco Marino